Benedetto Ciaceri
Benedetto Ciaceri (Pozzallo 1902 - Milano 1965) fu giornalista, narratore e commediografo.
Compiuti gli studi classici al T. Campailla di Modica, si iscrisse alla facoltà di Scienze
Politiche dell'Università di Firenze. Qui ebbe la forza di seguire, solo per qualche
anno, questo corso di studi; poi, abbandonata l'idea del conseguimento di una laurea
in quelle materie, che non erano affatto congeniali al suo spirito, preferì avviarsi
al lavoro: fu, infatti, impiegato di banca, prima a Firenze e poi a Roma.
Ma lasciò anche questo impiego, quando gli si presentò l'occasione di potere scrivere
per i giornali; giornali non di grossa risonanza in un primo momento, ma, in seguito, anche
di più chiara incidenza in campo nazionale.
Alle dipendenze del Corriere della Sera, a Milano - prestando altresì la sua
collaborazione ad altri fogli (Il Resto del Carlino, La Gazzetta del Popolo,
Tempo, Secolo XIX, La Sicilia) di altre città - trascorse gran parte
della sua esistenza.
Commediografo di buona vena fin dalla giovane età (a Modica, dove risiedette con la famiglia
fino ai vent'anni circa, c'è ancora chi ha viva la memoria di suoi bozzetti, rappresentati
in un teatrino rionale), ha lasciato parecchi drammi inediti. In vita, ha messo sulla scena
I falchi (Campitelli, Milano 1928), Tormento (Compagnia Zacconi, Milano 1933) e
Il prigioniero (Compagnia Ruggeri, Genova 1934), con giusto ed evidenziato
successo di critica e di pubblico.
Per la narrativa ha dato alle stampe i seguenti romanzi e racconti:
- Castelmoro, Ceschina, Milano 1938;
- La signorina Celeste, Mani di Fata, Milano 1946;
- La contessa di Modica, SESA, Bergamo 1950;
- Racconti di Sicilia, SEI, Torino 1953;
- Romanzi e racconti, Ceschina, Milano 1956;
- Il canonico Mistretta, Ceschina, Milano 1960;
- Novelle, Ceschina, Milano 1966.
Della sua opera si sono occupati, tra gli altri, con vario e motivato consenso, critici
come C.C. Secchi, A. Nobile Ventura, E. Possenti, M. Morini, L. Santandrea, G. Petralia,
V. Napolitano; convenendo in sostanza sul fatto che il mondo suo è quello stesso
che ha ispirato buona parte dei narratori siciliani, dal Verga al Pirandello,
dall'Aniante al Guarnaccia; ossia è un mondo che esprime la vitale esuberanza della gente
siciliota, al cui senso tragico, ereditato dall'antica Grecia, è confusa una fiera
rassegnazione d'origine araba.
Ma - si aggiunge - per meglio capire lo spirito di questa remota stirpe, occorre
considerare, entro le sue coordinate storiche, l'intima comunione che la lega alla
natura con il suo suolo vulcanico e il suo clima torrido, con i suoi colori violenti e i
suoi profumi intensi, con i suoi meriggi infuocati e i suoi cieli stellati e profondi, da cui
si sprigiona un'ebra sensualità che apre l'animo alla contemplazione o suscita le vampe delle
passioni, sotto le cui braci ardenti cova una tristezza inconscia.
Poste tali premesse, si possono facilmente rintracciare i motivi dominanti della narrativa
del Ciaceri, che danno vita a personaggi nitidi, colti nei loro tratti caratteristici e con
quella vivace introspezione, che trova nel colore e nelle immagini la immediata espressione.
E nonostante questi personaggi riflettano il costume e il colore locale, essi valicano i limiti
del particolare, per universalizzarsi in una più compiuta e significativa visione di vita.